La vita fra controllo e tragressione
La "e" è una lettera scomoda. Impegnativa. Da una parte pretende di legare persone, nomi o concetti che spesso hanno ben poco in comune, nel tentativo di offrire una chiarificazione più organica del sapere. Dall'altra effettua tagli stridenti, perché la virtù "doppia" dell'elenco sta anche e soprattutto nel ribadire la differenza di un insieme rispetto a un contesto. Parlare del controllo "e" della trasgressione, senza porre fra questi estremi neppur un riferimento al potere o al corpo, potrebbe indisporre qualche critico puntiglioso della filosofia di Michel Foucault: inevitabile punto di riferimento per chiunque si avvicini al tema della biopolitica. Un atteggiamento giustificabile, qualora valga il presupposto per cui sia il controllo che la trasgressione non siano fenomeni originali, bensì conseguenze dovute alla rottura di uno stato d'equilibrio. Ma è davvero così?
La cruciale sfida lanciata da Michel Foucault sta proprio qui: non fermarsi alle sistematizzazioni, smettere di credere alle suggestioni dell'ordine, abbandonarsi totalmente alla curiosità ("non già quella che cerca di assimilare ciò che conviene conoscere, ma quella che consente di smarrire le proprie certezze. [...] Vi sono momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa e si vede, è indispensabile per continuare a guardare e riflettere"; L'uso dei piaceri, pp. 13-14).
Ciò che buona parte della filosofia contemporanea ha dimenticato, dopo la morte del filosofo di Poitiers, è stato il modo in cui si sono venuti a definire i concetti cardine del suo pensiero: per anni si è continuato a parlare del potere e delle sue evoluzioni, delle sue implicazioni nella scrittura dei corpi, come se tutto dovesse trovare spiegazione all'interno di questa sola, immensa e controversa categoria monistica. La nostra tesi muove invece dalla considerazione per cui il potere è innanzitutto un esercizio: esercizio di forze in quanto ordinamento e controllo di flussi. Il punto di partenza non individua un centro privilegiato, ma affonda nel caos dell'indefinito, nel continuo sovrapporsi di correnti destrutturanti e contraddittorie, rispetto alle quali il corpo si viene a configurare come uno dei luoghi di attrito e di successiva interpretazione del reale.
In sostanza non si invita ad un mutamento radicale di prospettiva (ad un vedere altro), quanto piuttosto ad una deviazione dalla sua traiettoria, ad un vedere altrimenti: è cioè possibile parlare del controllo, prima del potere? Esiste una forma di controllo che determina il potere? E se sì, quale rapporto gioca la trasgressione nei confronti del controllo? E' implicita nella sua stessa affermazione o si dà al contrario come "alterità" irriducibile?
L'intento seguito consiste nel rifrangere un assurto base della filosofia odierna, per cui da un potere di carattere disciplinare si è gradualmente passati ad un potere più subdolo ed invisibile, esercitato attraverso il controllo indiretto delle menti e dei corpi. Questa posizione viene vista come un superamento, o meglio come un'evoluzione, delle condizioni materiali rispetto alle quali si orientarono gli studi foucaultiani. Trascura, tuttavia, un elemento essenziale, e a tratti inquietante, della riflessione maturata dal maestro francese: chi, di fatto,esercita un potere sull'uomo?
E' chiaro che se viene a mancare un referente dell'azione, anche le tradizionali tesi riguardanti l'esercizio del potere iniziano a vacillare. Se non è possibile attribuire alla volontà di un soggetto il fine del controllo, in che modo esso troverà mai giustificazione? Ogni individuo, potenzialmente, può oggi essere controllato. L'invasività delle nuove tecnologie ha raggiunto livelli di penetrazione nel reale inimmaginabili, cresciuti di pari passo allo sviluppo della comunicazione. Più si comunica, più si parla di sé e degli altri, più è possibile conoscere ciò che un tempo rimaneva celato negli anfratti della soggettività. Ma se chi controlla può a sua volta essere controllato, chi controllerà "chi"? La presa di coscienza per cui nessuno è in grado di isolarsi in una cabina di regia, attraverso la quale organizzare il flusso della vita propria ed altrui, fa vacillare la fiducia nella razionalità dell'uomo, al pari di quanto avvenne dopo l'annuncio della morte di Dio. Tolto Dio, l'uomo è tornato ad essere più che mai "faber fortunae suae". Ma se ora non vi è più neppure un barlume di razionalità dietro l'esercizio del potere, una volontà di potenza, che senso ha il controllo? Perché si controlla, se il potere non ha giustificazione alcuna nella volontà di un soggetto?
La stessa trasgressione di questo controllo "senza ragione" appare illogica, una questione di gusto: dà adito a forme ibride di rivolta, a paradossi, a congiunzioni disgiuntive e dunque squilibrate, rispetto alle quali i tradizionali codici di lettura binaria si rivelano insufficienti nell'offrire una delucidazione. Il corpo dividualizzato, cioè privato di un'identità stabile per sfuggire alle morse del controllo, viene ridotto a mero supporto di figurazioni occasionali. L'indecidibilità dello spazio umano, incapace di chiudersi nei confini di un luogo determinato, porta conseguentemente al collasso la stessa dimensione temporale: né passato, né futuro. Un presente si sostituisce ad un altro, senza lasciare scorie. Ma è davvero così? Questa lettura non è forse avvelenata dall'antico pregiudizio platonico secondo cui il corpo è solo bruta materialità? L'uomo è preda inerme di forze incontrollate?
Foucault è stato definito un archivista, quasi con disprezzo. Eppure proprio la nozione di archivio che lui stesso ha elaborato, offre oggi uno spiraglio di razionalità nel magma del chiacchiericcio pessimistico in cui è sprofondata la discussione attorno al potere-controllo. Se infatti è possibile individuare nel corpo il luogo di un accumulo che opera stratificazioni distinguibili, allora conoscerne i meccanismi significa possedere la chiave di volta per strutturare consapevolmente la propria soggettività, beneficiare della ricchezza del caso per moltiplicare la nostra persona in funzione di una realtà mobile, per quanto l'archivio si presti pure ad uno sfruttamento di carattere manipolatorio. Innocenza e dramma del gioco, che svela le sorti e commina i destini.
Nella gestione dell'archivio, così come potrebbe avvenire nell'ultima biblioteca dell'umanità, si gioca di fatto la sfida del senso: la posta è la padronanza delle tecniche di scrittura. Chi fosse in grado di comprendere se davvero esista, e quale mai sia, quella logica misteriosa ed aleatoria che travalica le pretese panteistiche del Rinascimento, al pari della cocciutaggine di Port Royal, potrebbe davvero chiudere la partita. Con una vittoria secolare, o una sconfitta irrimediabile, sarà il giocatore stesso a stabilirlo.