Paradosso e negazione della norma, per il maître di Poitiers, sono modalità interdipendenti per
dimostrare in che modo gli oggetti del nostro sapere si costituiscano attraverso una rete di
regolarità, inevitabilmente destinate a travalicare il processo di significazione operato dal singolo. Prima della costituzione del soggetto sono in atto forme di controllo e di autoregolamentazione, in grado di condizionare le possibilità di
visione e di lettura del reale. La consapevolezza del sé ruota allora attorno
a un rapporto tanto specifico, quanto occasionale, che viene a definirsi fra
ordine e spazialità, in virtù del quale è possibile tracciare linee vettoriali
di significazione, operanti tagli e inconsapevoli esclusioni nella sfera del senso.
L'affermazione
di una norma non ha nulla di assoluto, non è giustificata da alcun fondamento
metafisico: ha solo un valore funzionale e ammanta i rapporti di forza col
velo della convenienza. La sua trasgressione diviene allora inevitabile quando l'Altro rifiutato torna a reclamare la propria verità e nel momento in cui il Medesimo
non è più in grado di rispondere alle aspettative del momento. Per ovviare agli
effetti di instabilità generati dalla dimensione polemica che pervade
l'istituzione del significato, la logica inerente la materialità degli
enunciati porta a spazializzarne i meccanismi di formazione attraverso supporti
di scrittura facilmente controllabili, onde acquisire una visibilità sempre
maggiore nei confronti dell'alea che altera il dato.
Conquistare la regia
La
logica si scopre in realtà logistica, cioè una strategia di difesa e di
sussunzione dell'Altro, dove cruciale nella padronanza del sé risulta
l'individuazione del luogo (virtuale) di regia del reale. La ricerca di questo
luogo, vitale per il soggetto che anela sottrarsi alle spire del non senso, si
incarna nella volontà ossessiva di vedere persino l'invisibile: padroneggiare
l'invisibile, l'alea, ovvero l'Altro, significa stabilizzare la vita in una
serie definita e calcolabile di configurazioni, la cui iterabilità presiede
alla possibilità stessa di comunicazione e comprensione del senso.
Ma dal momento che il
visibile risulta sempre prospettico, il problema di una visibilità a tutto
tondo non solo porta in luce le irriducibili discrasie presenti fra il piano
della visibilità e quello dell'enunciabilità ("ciò che si vede non sta mai in
ciò che si dice": è impossibile descrivere ciò che si vede e dunque
padroneggiarlo in quanto oggetto di sapere), ma mette anche in crisi il
principio panoptico della teoretica occidentale: se i punti focali delle
prospettive non possono che rimanere "al di là", "oltre" l'apertura stessa del
visibile, la distinzione fra chi ha la possibilità di vedere (occupando un
punto privilegiato dello spazio) e chi viene invece visto, genera squilibri di
potere, contrari alla filosofia equiparante del controllo.
Occorre fare un passo indietro:
dal potere sul controllo si passa cioè al controllo sul potere attraverso la
sostituzione del principio panoptico con quello synoptico, in virtù del quale
le prospettive deflagrano dal proprio punto di irraggiamento e si sovrappongono
nell'illusorio tentativo di colmare i buchi neri della conoscenza. Questa
perenne mobilità della soglia di visione, che non può mai trasformarsi in un
limite ideale dai margini definiti, innesta però un motivo di discontinuità
irriducibile nella dialettica della conoscenza, le cui conseguenze più radicali
investono innanzitutto le sfere temporale e spaziale.
Il tempo frazionato
Da
sempre luogo di accumulo e di rielaborazione del sapere, fondata sui principi
della linearità e della successione, la temporalità presenta un inaccettabile
carattere "aperto" (in fieri), che comporta la graduale modificazione della
personalità di un soggetto. Frazionandone la continuità evolutiva, diviene
molto più semplice padroneggiare la formazione dell'identità: ordinando e
omologando le occasioni di interazione col reale è così possibile comprendere
quale identità si verrà a sviluppare in un determinato contesto, prevederne le
azioni e le reazioni, orientarne i gusti, modificandola con altri schemi
identitari a seconda delle esigenze imposte dal controllo.
Privato
della sua personalità (ma non della sua soggettività),
l'individuo viene ridotto a mero supporto di identità indotte e variabili. Il
corpo diviene teatro senza regia di fugaci figurazioni: su di esso si scrive e
si cancella quasi fosse una semplice lavagna, senza rendersi conto che ciascuna
identità vi sedimenta creando - nel tempo della durata e non solamente
dell'occasione - stratificazioni ordinabili nei canali di un vero e proprio "archivio
organico". Il corpo, in quanto medesimo supporto di identità transeunti, può
autoregolarsi indipendentemente dal controllo "secondo" gestito dall'uomo nella
dimensione del potere e sulle potenzialità della propria sessualizzazione biologica.
Reazioni di difesa
L'arma
del controllo si rivela a doppio taglio: laddove si pensava di poter
condizionare le configurazioni del soggetto attraverso la manipolazione degli
enunciati, al contrario ne sono state meglio illuminate le condizioni di
possibilità. Ciò consente all'individuo di organizzarsi in quanto dividuo,
ovvero di sfruttare la moltiplicazione del proprio sé, generando di riflesso un
nucleo di rifiuto alle richieste identitarie del controllo, un polo di
resistenza o di alterità opposto all'omologazione del Medesimo. Si sta al
gioco, poiché conoscere le innumerevoli sfaccettature delle proprie identità
significa al contempo poter prendere distanza dalle stesse. La sintesi operata dall'archivio
consente infatti di generare un doppio per differenza (o negazione),
alimentando come forma di difesa e occultamento un gioco di simulazioni.
La logica binaria della
rappresentazione, intesa come presentificazione e riduzione del doppio
nell'uno, si dissolve nei simulacri della somiglianza, che ostenta il terzo
come uno del doppio: è questo il nuovo elemento di congiuntura fra segno "e"
designatum, che non solo garantisce alla personalità di sfuggire alle maglie del
controllo, ma anche di moltiplicarsi nell'esperienza dell'Altro. Si afferma per
negare, senza che sia possibile distinguere una volta per tutte gli estremi di
questa stessa somiglianza: soglia di indecidibilità fra una provenienza
rifiutata ed una destinazione non ancora definita, che impedisce alla sintesi
della personalità di chiudersi su se stessa. È l'inaugurazione di una logica
ludica, in grado di esaltare l'alea propria dell'organico, inconsapevolmente
liberata dalla riduzione del corpo all'identità di un controllo eterodiretto. Non c'è
qui la pretesa conoscitiva rinascimentale di trovare somiglianze e analogie in
ogni forma dell'esistente, in vista dell'assoluto, quanto piuttosto di
mobilitare le risorse nomadiche dell'identità in funzione di una realtà
mobile, senza però negare il destino biologico.
Verità artificiali
La tradizionale
scrittura dei corpi entra in crisi: il vecchio modello a schemi biunivoci,
fondato sui diretti legami fra matrici e segni, collassa per effetto
d'assonanza. Tutto si somiglia e si richiama, ma nulla può dire la verità
dell'origine. La verità è una costruzione "artificiale", un artefatto della
retorica che ha validità solo in funzione di specifiche coordinate
spazio-temporali. L'uomo è cioè il prodotto di una "versificazione ontologica"
che dischiude spazi senza luoghi, tempi senza cronologie, trasgressioni
ripiegate su se stesse ove l'Altro abita nel Medesimo.
Ma è proprio qui che il
maître francese ci lascia in panne. Lo studio del controllo, divenuto in una
seconda fase del pensiero foucaultiano critica delle "forme" di controllo,
deraglia nel rifiuto della risposta.
Conta svicolarsi,
sciogliersi dalla presa dell'Universale in quanto strumento di omologazione
della Differenza. Solo in questo modo è infatti possibile inaugurare spazi di
movimento in cui il soggetto è libero di autofondarsi. Ma l'autofondazione è un'utopia. Il problema di fondo
consiste nel fatto che la configurazione del soggetto avviene comunque per
negazione di una realtà già data. Il confronto - seppur assunto nella
dimensione polemica dello scontro - non travalica cioè il muro del Medesimo, ma
lo smussa piegandolo ai propri desideri, rivestendolo di simulacri illusori.
Scomparsa dell'identità
Più che a un atto di
liberazione, siamo qui di fronte a un atto di (non)responsabilità. Ciò che
realmente importa è negare ciò che si è. Di conseguenza le categorie di
riferimento che, nel bene o nel male, hanno contribuito a definire il soggetto della
modernità, vengono assunte come base di diffrazione della soggettività. Lo
scopo della resistenza è una sovversione della "macrofisica" del potere attraverso la "microfisica" dei confronti locali di forze che la determina. Si
deve gettare sabbia nell'ingranaggio, recita la massima di Foucault.
Dissoluzione del soggetto classico, fine di una storia lineare ed evolutiva del
progresso, abbandono dell'illusione che il senso vissuto possa essere
formativo, in senso strutturale, della realtà sociale: sono appunto le linee
programmatiche che il filosofo francese aveva delineato nell'intervista a Paolo
Caruso risalente al 1969.
Ogni soggetto può
costruirsi una propria Weltanschaung, o morale che si voglia, giustificabile
esattamente sullo stesso piano di quanto possa fare l'altro. La politica
totale, perché senz'etica, ha un carattere nichilista. In termini più
tradizionali, l'affermazione di una morale "libera", non soggetta al controllo,
coincide con la distruzione dell'etica. Quest'ultima, infatti, necessita di un
sostrato di comune condivisione per poter generare l'ordine del sociale, che al
di là della critica del secondo Foucault e dei suoi epigoni, non è
riconducibile esclusivamente al controllo-potere sui soggetti, ma risulta anche
e soprattutto garanzia di esistenza dei soggetti stessi, del loro vivere civile
e del loro reciproco comprendersi.
Corpi sovrascritti
Fuori dalla società, o
per esteso dall'etica, l'uomo torna a essere bestia o dio. Ma lungi dal
possedere ancora la perfezione dell'essere, all'uomo di oggi non resta in
eredità che il lato più anarchico e vulnerabile del proprio essere: una moderna
forma di dissidenza che manifesta soprattutto una mancanza politica. Gli ultimi
scritti di Foucault lasceranno però intravedere la necessità di conferire alla
propria esistenza una struttura forte e unitaria: la politica dovrà garantire
un ordine sociale che renda possibile l'applicabilità generale delle regole d'etica.
Ma, in fondo, questa era un'esigenza già presente in nuce nella prima fase del
pensiero foucaultiano, gradualmente oscurata dagli studi degli anni '70. Le stesse tecniche di
scrittura sperimentate da Raymond Roussel nel tentativo di sottrarre il soggetto a una
lettura univoca, non riuscirebbero nel loro intento se mancasse una procedura
di autoverifica (o controllo) che, correndo negli interspazi aperti, unisca
parentesi e frammenti attraverso il medesimo filo rosso.
Analogamente la
congiuntura che ha trasformato il testo classico nell'ipertesto post-moderno non
è unidirezionalmente volta all'aperto (generando giochi di richiami all'infinito),
ma consente pure di tornare all'ipotetico punto d'inizio (che proprio per
questo non deve essere inteso metafisicamente come "origine"), in virtù del
quale sia garantita la leggibilità del senso "in opera". A questo punto l'archivio
descritto da Foucault viene a ricoprire un valore assai più decisivo di quanto
lo stesso filosofo francese fosse riuscito a immaginare.
I manoscritti non bruciano mai
L'archivio non è solo luogo
di resistenza, ma boa d'attracco, sponda cui aggrapparsi per non essere
inghiottiti dalla fluidità dell'essere liberata da Foucault. È base di
sedimentazione, in cui è possibile modificare l'ordine del dato, senza tuttavia
rinunciare alla struttura che ne ha consentito il deposito. Foucault ci ha aiutato
a violare la porta di un archivio segreto alla stessa società che lo ha
generato, in cui solo l'entrata e l'accumulo erano consentiti, ma non il
riflusso. La sua chiave, il potere, è stata trasmessa da un soggetto all'altro
senza che nessuno potesse mai supporre quale fosse il segreto da essa celato.
Il filosofo francese ha
però taciuto (volontariamente o meno è compito degli storiografi stabilirlo)
circa il rischio di far crollare l'intera impalcatura, nel momento in cui il
disvelamento dell'archivio offre l'opportunità di usufruirne a nostro
piacimento. Ma è proprio a partire
dall'impalcatura del controllo che sarà possibile scoprire come la
sostituibilità delle identità, pur comportando la sottrazione dalle tecniche di
assoggettamento, non mini di fatto la possibilità di organizzare una
personalità "aperta", né esponga al pericolo di lasciare il suo monopolio all'unico
possessore della chiave. È per questo che urge tornare a garantire una
medesima forma di leggibilità per le differenti forme di linguaggio oggi elaborate.
Alberto Caspani