2.1 Trasgressione a doppia faccia
Indebolita e ostacolata dal potere della presentificazione, la memoria non scompare, ma muta luogo generando nuove forme di resistenza all'inatteso
Iniziazione al potere, fondazione del potere attraverso la trasgressione, ma anche riconoscimento dell'imprescindibilità del segreto nella definizione dell'ordine e, dunque, della personalità.
La visione di ciò che doveva restare invisibile, nel racconto platonico dell'Anello di Gige, conferisce il diritto a riscrivere una nuova visibilità, a patto che l'ombra cali sul gesto trasgressivo da cui la visione ha preso le mosse. Ma la visione attesta anche che dietro al segreto non c'è alcunché, nulla che qualcuno non sappia o abbia già saputo. Al tempo stesso va riconosciuto che nulla è mai pienamente visibile, perché più ci si accanisce a illuminare, più le parole e le cose domandano luce, meglio sfuggono alla esposizione definitiva:
"ciò che è interamente visibile non è mai visto interamente, offre sempre qualcos'altro che chiede di essere ancora guardato; non giungiamo mai al termine; forse l'essenziale non è stato ancora visto o forse, piuttosto, non si sa se lo si è visto, se non sia ancora da venire in questa incessante proliferazione"
(M. Foucault, Raymond Roussel, Ombre Corte, 2001, p.120).
Più che di visione dell'invisibile, parebbe allora più corretto parlare di invisibilità del visibile. La fecondità di questa prospettiva si palesa nel momento in cui non viene più accolto un discorso semplicemente "storicizzato", bensì quando ogni elemento di novità viene associato alla categoria dell'attuale, a ciò che è nell'atto, a quell'evento che caratterizza il processo pur essendone dipendente: un evento che piega l'accaduto e in esso si ripiega.
La memoria corta delle nuove tecnologie, nel dissolvere il passato a favore di un presente in divenire, dà modo di approcciarsi a ciò che accade mettendo fuori gioco i condizionamenti interpretativi, prodotto della prospettiva storicizzante che abita il nostro sguardo. Privati della possibilità di ricorrere a categorie predefinite, di mettere cioé nella "giusta" prospettiva (ma giusta in riferimento a che cosa, se non al potere?), dovremmo guadagnare paradossalmente una maggior capacità di sollecitazione critica:
"L'attuale è un evento critico, come un collasso del divenire che in potenza è suscettibile di mostrare, se ben analizzato, i meccanismi del divenire stesso"
(Francesco P. Adorno, Manet e il soggetto della modernità in La pittura di Manet, La città del Sole, 1996, p.49).
La comprensione del presente non dipende più da una totalità apparentemente ordinata nel passato, né da una proiezione futura necessariamente limitata in prospettiva, bensì da una differenza. Da una frattura del dato. Foucault l'ha definita "rapporto sagittale alla propria attualità" (Qu'est-ce que les Lumières?, in Dits et écrits, vol IV, Gallimard, Parigi 1994, p.564). Lo spazio viene in tal modo considerato una dimensione "teorica", il luogo di co-abitazione delle parole e delle cose. Ne discende che il fittizio non è mai nel fatto in sé, ma nella verosomiglianza impossibile di quanto porta a definirlo tale. La finzione teorica cui siamo involontariamente soggetti consisterebbe
"non tanto nel far vedere l'invisibile, quanto nel far vedere come sia
invisibile l'invisibilità del visibile" (M. Foucault, Il pensiero
del di fuori, in Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 1996, p.117).
Diversamente da ciò che ogni fenomenologo si propone, al soggetto non è dato raggiungere una rappresentazione rigorosa dell'oggetto, in virtù della quale possano emergere tutte le facce nascoste; non spetta ricostruire l'origine del senso, perché il senso già da sempre abita il discorso. Ma lo abita in una modalità mobile, circolare, inesauribile. Per far sì che l'invisibile si palesi diventando visibile, ma preservando al contempo i caratteri della sua invisibilità, occorre provocarlo, imprimergli un movimento che lo spinga a manifestarsi da sé, a trasgredire le leggi che regolano il linguaggio, cioè il suo luogo di manifestazione. Un movimento che solo la trasgressione è in grado di avviare, poiché non attraversa e non opera alcuna metamorfosi, non viola la legge in maniera puramente negativa, ma altera il rapporto fra il visibile e l'invisibile.
La finzione non va allora più intesa come correlato eidetico della coscienza; è invece il luogo di dispersione di ogni dimensione costituita. Ed è proprio nel continuo intrecciarsi di visione e linguaggio, di visione e scrittura, che viene gradualmente a delinearsi la possibilità di sperimentare un nuovo punto di vista:
"Non c'è finzione perché il linguaggio è a distanza dalle cose; ma il linguaggio è la loro distanza, la luce in cui esse si trovano e la loro inaccessibilità, il simulacro in cui si dà soltanto la loro presenza; e ogni linguaggio che, invece di dimenticare questa distanza, vi si mantiene e la mantiene in sé, ogni linguaggio che parla di questa distanza avanzando in lei, è linguaggio di finzione"
(M. Foucault, Distance, Aspect, Origine, in Dits et écrits, vol. I, op. cit., pp.220-281).
Nella tentativo di definire la finzione scaturisce dunque la possibilità di una visione che, al contempo, è possibilità di enunciazione: uno sforzo che mostra come tale duplicità del dato dipenda innanzitutto dal nostro modo di pensare la prospettiva. Da un lato, è un tentativo che rimette in causa il soggetto guardante, dall'altro le modalità di costruzione della visione stessa. Un invito ad acquisire quella rara capacità di mostrare i modi di nascondimento di ciò che silenziosamente accompagna la presenza - perché indecente, osceno o soltanto impresentabile - e la rende infine evidente, normale.
L'impossibilità di far ricorso a categorie storicizzanti, in quanto costantemente sollecitati a confrontarci con una realtà in divenire, non significa tuttavia non disporre del valore normativo del tempo. In un certo senso esuliamo dal tempo inteso come crono-logia, come scrittura pre-definita, recuperandolo invece in una dimensione più propriamente organica, fisiologica: la sua scrittura nel corpo e attraverso il corpo. Vengono così in luce due distinte modalità della trasgressione: una diretta, che punta deliberatamente alla rottura eclatante dell'ordine, facendo appello a tutto ciò che può visibilmente destabilizzare la norma; l'altra, indiretta perché trasversale, che necessita di un tempo di adattamento significativo onde familiarizzare con l'inatteso. In quest'ultimo senso, rappresenta un esempio utile l'esperimento delle carte diversificate descritto da Thomas Kuhn ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi, Torino 1978, p.87): ad alcune persone era stato chiesto di identificare carte da gioco che venivano mostrate per un breve momento. La maggior parte di esse appariva normale, alcune risultavano invece alterate: ad esempio, carte di cuori nere o di fiori rosse. Inizialmente l'abitudine a vedere le cose in modo predefinito era talmente radicata da non permettere quasi di cogliere le anomalie. Al crescere del tempo di esposizione delle carte, i soggetti cominciavano però a notare con grande difficoltà le carte modificate, quindi con facilità sempre maggiore, rendendosi infine conto di tutte le anomalie.
Affinché la novità emerga, là dove viene filtrata attraverso un segreto taciuto e non ostentato, è necessario disporre di un tempo di adattamento che faciliti la familiarizzazione con l'inatteso. Contro questa seconda modalità di manifestazione della trasgressione, non è infatti possibile opporre una resistenza efficace, o condurre strategie di provocazione indotta. Lo spettro delle possibilità in virtù delle quali un certo campo della vita è minacciato dall'inatteso è semplicemente infinito.
L'inversione di tendenza che dal panopticon ha portato al synopticon, enfatizzando gli aspetti di spettacolarizzazione della quotidianità, appare allora l'estremo tentativo di conferire visibilità e razionalizzazione a ciò che non solo si offre come invisibile (non-visibile), ma come invisibile "aleatorio" (in-visibile). Questo metodo d'osservazione riesce tuttavia a stimolare e fronteggiare solo la modalità di trasgressione più immediata, senza avere la capacità di cogliere ciò che prende forma nella dimensione dell'organico, dell'indifferenziato, del continuo. Se sottrae al soggetto la possibilità di rielaborare e aggiornare modelli acquisti di resistenza, la nientificazione della cronologia dischiude contemporaneamente nuovi spazi di libertà. La loro appropriazione viene a dipendere dalla circostanzialità dello sguardo puntuale, che va dunque esercitato e affinato; dalla capacità di avvertire lo "stacco" venutosi a delineare in virtù di mere occasioni: perché i punti di resistenza, di volta in volta, possono essere ovunque e in nessun luogo.
"Non c'è dunque, rispetto al potere, un luogo del grande Rifiuto, [...] ma delle resistenze che sono degli esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, solitarie, selvagge, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali; per definizione, non possono che esistere nel campo strategico delle relazioni di potere"
(M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1991, p. 85).
Le forme di resistenza al potere non dipendono da qualche principio eterogeneo; non sono nemmeno frutto di un'illusione o di una promessa delusa. Appaiono invece il rovescio delle relazioni di potere, ciò che sta irriducibilmente di fronte a loro, ma inscritte nel loro modo di esercitarsi: punti, nodi, focolai di resistenza sono allora disseminati con maggior o minor densità nel tempo e nello spazio. Nessun ordine, senza possibilità di trasgressione.
L'oscurità del segreto è infatti la condizione stessa della trasgressione, dunque dell'affermazione di un nuovo sguardo sulla realtà. E poiché lo sguardo è sempre in prospettiva, la possibilità di una resistenza all'omologazione dell'ordine si dà di pari passo all'estensione del controllo. Non casuale sarà la scelta di Foucault di avanzare questo discorso sviscerando i rapporti di potere inerenti la sessualità, benché già portati al limite nella antica storia di Gige. Limite della conoscenza, poiché sola lettura possibile della nostra incoscienza; limite della legge, poiché unico contenuto universale del proibito; limite del nostro linguaggio:
"essa designa la linea di schiuma di ciò che il proibito può appena appena raggiungere sulla sabbia del silenzio"
(Foucault, Prefazione alla trasgressione in Scritti letterari, Feltrinelli 1996, p.55).