1.5 La palestra del gioco
Comprendere i caratteri del gioco aiuta a mettere in evidenza le modalità d'esercizio del controllo, salvo il gioco non divenga stocastico
(se non letto prima, si rimanda al post "1.4 La norma, condizione del gioco e della tragressione")
Cos'è dunque in gioco nella sfida farsesca fra il leopardo e la tartaruga della favola senegalese? O, meglio ancora, quali sono i termini di definizione di un "gioco letale" di tal fatta?
Johan Huizinga ne dà la seguente definizione: "considerato per la forma, riassumendo si può chiamare il gioco un'azione libera, conscia di non essere presa "sul serio" e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi totalmente del giocatore; un'azione a cui in sé non è congiunto un interesse materiale, da cui non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito, che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito" (Homo ludens, Einaudi, Torino 1973, p.34).
Per lui il gioco non è "serio", è cosa per bimbi, perché non comporta alcun vantaggio o progresso materiale, non fa crescere, ma mantiene nel circolo del Medesimo. Oltretutto sfugge alla "chiarificazione" illuministica del reale (Entdeutichkeit), accentuando gli elementi del mistero, del segreto e - cruciale per ciò che vedremo poi - del travestimento (ovvero per la duplicazione dell'identità e dunque per il rifiuto del principium individuationis dell'ontologia occidentale).
È qui interessante notare l'affinità che viene stabilita fra il gioco e l'arcano, o il mistero; ma questa connivenza non può rientrare in una definizione del gioco che è quasi sempre spettacolare, se non addirittura ostentativo. Senza dubbio, il segreto, il mistero, il travestimento insomma, si prestano a un'attività ludica, ma è opportuno aggiungere subito che questa attività si esercita necessariamente a detrimento del segreto e del mistero. Espone ciò che dev'essere controllato, perché sfugge e può creare guai. Il gioco diviene allora una sorta di palestra del controllo.
Espone, rende pubblico e, in qualche modo, consuma.
Non si può invece passare sotto silenzio il fatto che Huizinga presenti il gioco come un'azione avulsa da ogni interesse materiale, escludendo in tal modo tutte le scommesse e i giochi d'azzardo, ovvero l'ambito più propriamente economico verso cui esso si rivolge. Ciò non toglie, d'altra parte, che anche in una forma lucrativa, il gioco rimanga ai suoi occhi rigorosamente improduttivo: c'è spostamento di beni, ma non produzione di beni. Altro assunto che contrasta con la mentalità produttiva, pragmatista e accumulativa dell'adulto che, come la formica rispetto alla cicala, mira a garantire la vita ottimizzando gli sprechi e il consumo.
Discorso differente dovrà però essere riservato alle conseguenze che investono il soggetto ludico. Uno svolgimento noto in anticipo, senza possibilità di errore o di sorpresa, che porti manifestamente a un risultato ineluttabile, è incompatibile con la natura del gioco. Questo consiste infatti nella necessità di trovare, di inventare immediatamente una risposta che sia libera nelle regole del gioco.
Tali osservazioni hanno infine spinto Caillois ha denotare il gioco come un'attività:
-libera (a cui il giocatore non può essere obbligato senza che il gioco perda subito la sua natura di divertimento attraente e gioioso);
-separata (circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo);
-incerta (il cui svolgimento non può essere determinato, né il risultato acquisito preliminarmente, una certa libertà nella necessità d'inventare essendo obbligatoriamente lasciata all'iniziativa del giocatore);
-improduttiva (che non crea, cioè, né beni, né ricchezze, né alcun elemento nuovo; e, salvo uno spostamento di proprietà all'interno della cerchia dei giocatori, tale da riportare a una situazione identica a quella dell'inizio della partita);
-regolata (sottoposta a convenzioni che sospendono le leggi ordinarie ed instaurano momentaneamente una legislazione nuova che è la sola a contare);
-fittizia (accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà nei confronti della vita normale).
Si tratta degli stessi aggettivi che Foucault usa ripetutamente nello scritto Verità e forme del giudizio, ove appunto offre una breve panoramica sulla storia del concetto di verità e sulle sue modalità di costituzione, ispirandosi a un testo di Nietzsche del 1873 ("In qualche remoto angolo dell'universo, bagnato nei fuochi di innumerevoli sistemi solari, là - un tempo - ci fu un pianeta dove animali intelligenti inventarono la conoscenza. Quello fu il più grandioso e mendace minuto della storia universale"). La verità è figlia della lotta e del gioco, dunque soggetta al controllo ed eternamente predisposta alla trasgressione del dato.
La situazione si fa seria e scottante. Conviene forse fare alcune precisazioni sulle modalità che hanno portato alla disfida fra la tartaruga e il leopardo. Quest'ultimo non ha infatti agito perché mosso dal bisogno di sfamarsi, come vorrebbe la legge della giungla: è stata la provocazione di un avvoltoio a sollecitare la sfida, adducendo il fatto che la tartaruga "è difficile da trovare ed altrettanto da combattere" (M. Gadji, op. cit., p.8). Minacciato nel proprio orgoglio di predatore irresistibile, il leopardo fa annunciare il grande evento a tutti gli animali del Regno, in attesa di incontrare l'inerme testuggine, alla quale - comunque - sarà accordato il diritto di scegliere il luogo dello scontro.
Emergono gradualmente alcuni elementi che stemperano la tensione del confronto, quasi si trattasse davvero di un semplice gioco, con il solo difetto di essere mortale, dunque non ripetibile. Anche la tartaruga sembra non preoccuparsi più di tanto della sua sorte, quando risponde all'avvoltoio che le annuncia la decisione del leopardo: "A Numbelan nessuno ha bisogno di suicidarsi, la morte vive qui come noi: oggi la provvidenza mi ha risparmiato il tuo becco assassino, domani chi lo può sapere?...e poi "se i piedi sono destinati a calpestare il suolo, prima o poi incroceranno il serpente" (M. Gadji, op. cit, p.9). Una tartaruga simile avrebbe da insegnare ancora tantissimo alla nostra società, che pur vantandosi di aver ben pochi tabù, evita attentamente di confrontarsi con la provocazione della morte.
Sulla scorta di Nietzsche, è stato lo stesso Foucault a evidenziare come sia proprio l'espressione della volontà di potenza a farci abbandonare l'oscuro mondo della legge, per entrare in quello del gioco (definito da Heidegger "la sfera del possibile"). Questo "possibile" indica le possibili possibilità proprie ed essenziali per ciascuno, al punto da voler trasformare la morte stessa in una possibilità reversibile.
Jean Granier illustra il senso di tale possibilità nel gioco, definendola come "la duplicità dell'essere: il gioco della verità mortale e del valore-illusione, secondo un'infinità di interpretazioni - il gioco del caos e della vita" (J. Granier, Le pensée nietzschiéenne du chaos, cit., p. 146). Anche Deleuze suggerisce come nel gioco vi sia una sorta di probabilità dal piede leggero, di danza: "non quindi una probabilità ripartita in più volte, ma tutto il caso in una volta; non una combinazione finale che sia stata desiderata, voluta, sperata, ma la combinazione fatale, fatale ed amata, amor fati" (G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Feltrinelli, Milano 1992, p. 57).
La differenza che si delinea fra mondo adulto (della razionalità) e bambino (del gioco) è la stessa che si può evidenziare nel confronto fra le orme di un ubriaco per strada e quelle di un ballerino su un palcoscenico polveroso: esempio solitamente adottato dalle analisi stocastiche, che hanno per oggetto le serie non regolari.
Il gioco estatico del pie' leggero, la danza della vita, produce l'effetto di un reale contrasto: la rappresentazione danzante "rifiuta" ogni calcolo. Pur basandosi su una coreografia, la danza è incalcolabile, poiché, come ogni altra rappresentazione, riunisce in sé spontaneità e necessità. Una danza libera ed espressiva è definitivamente imprevedibile, è l'occasione, l'evento di un caos necessario, la dolce e ultima immagine del caso. (continua 1.6)