5.6 Imitare la vita per espellere l'imprevedibile
La tecnologia, in quanto protesi del linguaggio, mira a reduplicare la vita perché nell'automazione ogni rapporto di causa-effetto è sempre determinabile, permettendo il completo controllo di ogni variabile. Ma l'automa che parla e pensa come l'uomo porta inscritta una differenza mai cancellabile
(se non letto prima, si rimanda al post "5.5 Se la grammatica si fa arte combinatoria")
Anziché restare intrappolato nel tradizionale dilemma se siano le formazioni non discorsive (istituzioni politiche, processi economici, condizioni storiche...) a essere causa delle discorsive o viceversa, Foucault opera uno spostamento teoretico sulle "relazioni" che tengono unite queste due polarità, appellandosi alle virtù inclusive dell'enunciato rispetto al potere differenziante delle proposizioni di cui ogni discorso è fatto.
Il rapporto causa-effetto, tipico del pensare metafisico di matrice aristotelica, è infatti la risultante di uno spazio già "deciso" dal potere definitorio del linguaggio, dalle sue categorie che pre-giudicano in virtù del riconoscimento di un'essenza, mentre lo sforzo cui tutti noi siamo chiamati - in quanto radure di libertà - è ben più radicale.
"Una frase può essere ricominciata o ri-evocata, una proposizione può essere riattualizzata, solo l'enunciato ha la particolarità di poter essere ripetuto"
(M. Foucault, Archeologia del sapere, Bur, Milano 1996, p. 188)
O ancora: "Poiché la distinzione originale-banale non è pertinente, fa parte dell' "enunciato di potere" il fatto di essere ripetuto" (ibidem, p. 21). Ciò nonostante, ora sappiamo che anche nella perfetta ripetizione è già insinuata quell'inafferrabile alea che sempre impedisce la coincidenza e l'identità: per essere cioè perfetta, la ripetizione (pensabile solo nelle condizioni ideali di un laboratorio sperimentale, ma inevitabilmente destinata a fallire per l'impossibilità dell'uomo o della macchina di trascendere se stessi) richiederebbe di occupare lo stesso luogo di distribuzione in cui l'enunciato si è costituito, di effettuare la stessa ripartizione di singolarità, di abitare lo stesso ordine di luoghi e di posti, di mantenere lo stesso rapporto con un ambito istituito: in breve, di congelare lo spazio e il tempo della vita.
Alcuni critici hanno rilevato come Foucault abbia semplicemente affinato le analisi classiche relative al "contesto", esaltandone i pregi, ma ereditandone una volta ancora i difetti. Il filosofo di Poitiers ha però risposto molto chiaramente a tali critiche, evidenziando la compresenza di due livelli di lettura presenti nei suoi studi: "quanto al contesto, esso non implica niente perché non ha la stessa natura in riferimento alla formazione discorsiva o alle famiglie di enunciati considerati" (ibidem, p. 114-115), mentre "se si è portati a denunciare le false ripetizioni determinando la formazione discorsiva a cui appartiene un enunciato, in compenso si scopriranno fenomeni d'isomorfismo e d'isotopia tra formazioni distinte" (M. Foucault, Archeologia del sapere, op. cit., p. 185).
La ripetizione, dunque, non fa che esibire un'ulteriore modalità del controllo: l'imitazione, finalizzata a produrre uno sdoppiamento delle cose per favorirne un ritorno alla medesima matrice, in modo tale da generare l'identico. L'uomo tende cioè a staccarsi da se stesso per identificarsi con le parti di un tutto, con "le cose" della realtà, da cui ricava però la realtà visibile con la quale traveste infine il mondo di supposta oggettività. Tutte le scene in cui egli è protagonista sono allora spettacoli auto-prodotti, in quanto mostrano solo di "mostrare", ma mai ciò che in esse è mostrato. Il mondo della scienza umana è una visibilità raggiante, in cui niente è visibile.
È ancora Roussel a offrire un aiuto alla comprensione di questa paradossale "tecnologia epistemica". Egli infatti sperimenta un linguaggio volto a restituire ai segni il significante, al simultaneo la successione che esso blocca, all'iterazione l'evento unico che essa ripete. L'insieme "figura-racconto", nelle sue pagine, funziona come il "testo-genesi" di cui abbiamo precedentemente parlato: il tempo e il linguaggio ripetono la figura eponima in quanto la spiegano, la riportano al suo evento primo. Descrivendo nel dettaglio macchine che non fanno altro fuorché imitare o ripetere l'accaduto, Roussel simbolizza allora nella macchina uno strumento "retorico" per ripetere il contenuto del racconto, che lo proietta a sua volta in avanti, fuori dal tempo e dal linguaggio, ma in modo reversibile: il racconto ripete la macchina che ripete il racconto. Lo slittamento del senso (fondamentale e apparente nelle frasi isomorfe) viene così celato all'interno di macchine la cui configurazione è retta in segreto da una serie di parole eponime, ripetute secondo le leggi del procedimento. Fabbricate a partire dal linguaggio, queste "macchine" sono la visualizzazione del procedimento in atto, la nascita ripetuta in se stessa.
Ma se le macchine ripetono l'uomo, sdoppiando il passato con una riproduzione esatta e atemporale, il controllo che si esercita attraverso loro non aliena più l'uomo, ma esibisce i suoi procedimenti logici, sollevando infine la domanda circa il suo statuto in rapporto al linguaggio. Gli strumenti del controllo risultano dunque un altro tipo di configurazione dei macchinari ideati e descritti da Roussel: non producono essere, ma mantengono le cose nell'essere. Il loro ruolo è quello di "far rimanere". Ma anche, per assicurare questo mantenimento al di là dei limiti, quello di "far passare": superare gli ostacoli in vista della comunicazione. Il loro fine consiste nel mantenere una figura della vita (l'uomo come individuo) che ottiene il privilegio di conservarsi senza cambiamento per un numero illimitato di rappresentazioni: esse lottano contro la dividualità, cercando di riassorbirne le virtù metamorfiche. Fanno in modo che l'uomo possa costruirsi un centro solido capace di accogliere l'alea del "fuori", senza per questo pagarne le conseguenze in termini di "disseminazione esistenziale".
Il passato non viene fatto passare, poiché in tal caso scomparirebbe nell'oblio, ma ciò nonostante lo si lascia attraversare da vie di comunicazione col presente. Così l'invenzione non sfocia mai nel futuro, ma viene completamente introvertita, avendo come unico ruolo la protezione contro il tempo e l'erosione di una figura che essa ha il solo potere di mantenere in un'eternità tecnologica, spoglia e fredda. Di macchina in macchina, di tecnologia in tecnologia, arrivando al metaverso, qualsiasi manifestazione del controllo è mossa dall'obiettivo della ripetizione nella forma dello spettacolo e del ritorno dell'identico, onde abolire il tempo attraverso la circolarità dello spazio.
È lecito allora pensare che sia solo la possibilità di ripetizione in quanto imitazione a consentire il solidificarsi della vita in forme, oggetti e soggetti definiti? (continua 5.7)