3.3 L'esibizione del corpo
I fenomeni di estetizzazione e auto-spettacolarizzazione, tipici della società contemporanea, crescono parallelamente allo sviluppo della città, lente d'ingrandimento dei flussi di potere che investono il corpo. Il risultato è un inaspettato connubio fra seduzione e verità
(se non letto prima, si rimanda al post "3.2 Corpo r-esistenti")
Nel tentativo di estetizzare, dunque di occultare le reali implicazioni delle proprie strategie, il controllo esercitato dal potere muove oggi verso l'auto-spettacolarizzazione. Assistiamo, al contempo, a una sempre più marcata differenziazione fra "spettacolo del controllo" e "farsi materiale del controllo". Lo sviluppo di questa seconda modalità appare complementare all'articolarsi dei rapporti sociali e alla frammentazione del corpus civile in microuniversi sempre più interdipendenti, di cui occorre possedere le chiavi d'interpretazione onde evitare - volendo usare il sempre più logoro e inadeguato linguaggio della meccanica - un tracollo per "surriscaldamento d'accelerazione". Il tema della velocità dello sviluppo risulta infatti cruciale nel comprendere l'accanimento patologico delle tecniche di controllo. Il bisogno di conoscenza, d'altra parte, non rinvia solo a una realtà sociale paranoide, ove le anomalie divengono una speciale forma di normalità dominabile solo dai più "forti", ma la crescente complicazione del sociale comporta anche un innalzamento del desiderio di sottrazione.
"Nella sua forma pura e non manipolatoria, la paura esistenziale che ci rende ansiosi e preoccupati è ingovernabile, irreprimibile e perciò paralizzante. Il solo modo per non vedere la terribile verità è ridurre quell'enorme, schiacciante paura in frammenti piccoli e maneggevoli, ridurre la questione cruciale della nostra impotenza a una serie di piccoli compiti pratici che possiamo sperare di saper eseguire"
(Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, p.51).
Non essendo più in grado di comprendere una sfera sociale altamente specializzata, complessa, l'uomo contemporaneo ritaglia piccoli ambiti di competenza che gli consentano di esercitare un dominio comprensibile ed efficace, in grado di confermare più che affermare, la propria individualità. La contropartita di questa "contrizione esistenziale" sta nel fatto che la società, pur nell'interdipendenza delle sue cellule, appare frazionata in settori stagni, o di "specializzazione", che mantengono un senso solo in se stessi, ma risultano ingiustificabili se raffrontati su scala globale. L'apertura a questa ulteriore dimensione espone al rischio di forti conflittualità, dovute alla pretesa di imporre come metodo complessivo di spiegazione il proprio "ritaglio" di verità.
Per ovviare a un processo di sgretolamento insito in qualsiasi modello di società avanzata (la complicazione delle relazioni sociali, infatti, cresce di pari passo alla differenziazione delle funzioni interne), tutte le operazioni che puntano a registrare, fissare e stoccare i flussi di differenziazione vengono assunte da specifici "apparati collettivi" (o macchine di potere che hanno la funzione di produrre "socius", aggregazioni, esemplificate e spazializzate nell'organizzazione interdipendente della città). In una discussione avuta con Fourquet e Guattari (Prime discussioni, primi balbettii: la città è una forza produttiva o di antiproduzione?, in Spazi Altri, Mimesis Eterotopia, Milano 2001), Foucault appariva concorde nel ritenere che il primo apparato collettivo caratterizzante la dimensione della vita sociale è la lingua, in quanto strumento di messa in codice degli "elementi disgiunti".
"E' a partire dal momento in cui si opera uno scollamento del significante che la territorialità della città diviene deterritorializzazione del flusso; la città è il luogo in cui sono deterritorializzate le comunità primitive, essa è l'oggetto distaccato delle comunità primitive...è un flusso di scrittura dispotica"
(ibidem, p. 43).
Città e corpo si vengono a definire in un rapporto di interdipendenza tale per cui le strutture caratterizzanti la prima sono riprodotte nel secondo, in quanto supporto di scrittura. La città, concretizzazione delle dinamiche sociali, riveste ancor'oggi il ruolo di "lente d'ingrandimento" dell'uomo assegnatole da Platone ne La Repubblica: di riflesso, il discorso che Foucault affronterà in merito al concetto di utopia, servirà al filosofo francese per mostrare quale sia l'effettivo spazio del "corpo", originariamente un "non-luogo" su cui si possono sovrapporre, intersecare, ma anche annientare differenti flussi strutturanti.
Per il filosofo di Poitiers, il flusso di scrittura generato dalla convivenza dà adito alla liberazione di una "superficie d'iscrizione" (il corpo umano appunto), di un "corpo senz'organi (virtuale)" (cioè la città) e di un "oggetto staccato da un flusso più deterritorializzato di altri, che può connetterli tutti" (l'insieme degli apparati collettivi, materializzazione del controllo sociale). La scrittura dei corpi risulta necessaria per colmare una "segmentazione esistenziale" che appare priva di senso, caotica, proprio come un insieme di parole pronunciate senza alcuna coesione grammaticale: non è allora un caso che Fourquet indichi nella "contabilità" la prima forma di scrittura, operante una "quantificazione di qualcosa che non ha nessuna ragione d'essere: i flussi" (ibidem, p.43).
Sulla stessa linea interpretativa si situerà pure il Foucault degli ultimi anni, rivalutando nel processo di formazione del "sé" la funzione cruciale giocata dalla "materialità del supporto contabile" nell'organizzazione dell'individualità. Lo studio degli hypomnemata (i "taccuini" dell'antichità introdotti all'epoca di Platone, dunque nel momento in cui la scrittura soppianta l'oralità, condizionando pesantemente gli sviluppi teoretici della metafisica classica) servirà a mostrare i legami fra questa "nuova" tecnologia e l'uso dei supporti digitali (i computer) nella società odierna. Foucault stesso dichiarerà: "mi sembra che la questione della scrittura e del sé debba essere posta nei termini della struttura tecnica e materiale nella quale essa sorse" ("Hypomnemata, from an interview with Michel Foucault in The Foucault Reader; Paul Rabinow, editor (New York) Pantheon, 1984, pp. 363-365).
I "taccuini" furono immediatamente impiegati per la costituzione di una relazione permanente col sé ("uno deve amministrare se stesso come il governatore amministra i governati"): il punto cruciale di questo studio, che lega sul piano storico la scrittura alla cultura del sé, non consiste nel "perseguire l'indescrivibile, nel rivelare il nascosto, nel dire il non-detto, ma, al contrario, nel collezionare il già-detto, nel riassemblare ciò che uno poteva sentire o leggere, e tutto questo per un fine che non era niente di meno se non la costituzione del sé" (ibidem, p. 365).
Quantificare. Contabilizzare. La città, unitamente alle risorse materiali in essa generate, è il progetto di creare un sistema di regolamentazione della condotta generale degli individui in cui tutto possa essere controllato, al punto che le sue articolazioni possano mantenersi da sé, senza alcun intervento esterno. Senza città non è possibile surcodificare le territorialità primitive, disperse nella dimensione dell'utopia, del non-luogo. "La città è dunque una proiezione spaziale, una forma di riterritorializzazione, di blocco" del corpo (ibidem, p. 45), all'interno della quale gli apparati collettivi servono a trattenere qualcosa che, per essenza, non si può però trattenere.
Il rapporto fra corpi e strategie di controllo si declina nell'ambito di un'infinita possibilità di relazioni: relazioni guerreggiate nelle quali non è tanto il potere a rappresentare la posta in gioco, quanto la "potenza" nel senso spinoziano del termine. Il corpo diviene perciò il luogo di un esercizio di pratiche differenti, soggette a un instabile sovrapporsi di strategie.
"Controllare significa essenzialmente catalogare, il corpo è assunto in qualità di una carta geografica che in tal modo è possibile scrivere e riscrivere e da ultimo inventare".
(Tiziana Villani in "Tecnologie del controllo", Geografie del controllo, op.cit., p. 60)
È interessante notare come il corpo si configuri quale "luogo originario" di ogni possibile scrittura, ma al contempo, grazie al suo peculiare carattere di supporto sempre sovrascrivibile, quale "luogo d'invenzione", "spazio di libertà" per un soggetto non solamente passivo. Essendo il punto d'intersezione fra correnti di scrittura che lasciano emergere, antiteticamente, un "fuori" e un "dentro", il corpo non è mai in una condizione di saldo equilibrio, appare bensì un "luogo di rischio", su cui in passato non si è tardato ad apporre la drammatica etichetta del "patologico". La Storia della follia di Michel Foucault rimane tuttora uno dei massimi esempi a riguardo.
Il problema della soglia di rischio non viene oggi più inteso in qualità di disagio o malattia, quanto di compatibilità più o meno riuscita nell'ambito di un sistema produttivo che deve essere in grado di sussumere e utilizzare qualsivoglia devianza. In caso contrario non restano che i meccanismi di totale esclusione e cancellazione.
"Il corpo, con le sue trasformazioni e le sue caducità, finisce con il rappresentare l'incerto nell'ambito di un sistema che cerca invece di prevedere e prevenire ogni margine di errore e d'incertezza"
Tiziana Villani (ib., p. 60)
Innanzitutto il ritmo biologico del corpo continua a essere un fattore di resistenza rispetto all'accelerazione sociale, per quanto la caducità della vita lo renda sempre più reificato nell'ambito di una processo di sostituzione dell'obsoleto; parallelamente il tempo dell'otium viene sostituito dal tempo del consumo, nell'ottica di una logica che punta a omologare lo stesso bisogno umano di sottrazione.
Muovendosi lungo queste traiettorie, il corpo tende a disegnare un proprio ambiente misurato ad hoc, a partire dal quale è possibile interagire con situazioni date, adattandovisi e modificandole. Villani insiste sulla differenziazione fra corpo e carne, il primo inteso come principio attivo che "opera la figura" della carne, cercando di modularne il divenire: trattandosi di due entità stridenti, l'una legata alla sfera del raziocino, l'altra a quella primitiva del desiderio, le unità identitarie imposte dal corpo alla carne sono di fatto il risultato di un compromesso che non ha stabilità, di natura puramente occasionale. Un corpo, ancora una volta, produttivo di significati, ma eccedente il senso complessivo del reale.
"L'azione delle situazioni è tutt'altro che neutrale, poiché essa cataloga, definisce e sceglie l'elemento-maschera che pare essere più confacente all'ambiente dato. Ora, proprio questa selezione che vuole porsi sotto il segno del raziocinio e nell'ambito di un principio di verità necessaria è quanto di più oscuro vi possa essere. La maschera identitaria si afferma in base alle esigenze di un'astratta e quanto mai pretestuosa legge della maggioranza" (ib., p.63).
Il dominio maggiore è in relazione al diktat pubblicitario, che oggi rappresenta la struttura portante della macchina del consenso. Il divenire della carne viene imprigionato nelle maglie di un'immagine-corpo che non ha altra giustificazione, fuorché l'efficacia produttiva del momento. Proprio l'elemento della maschera, però, mostra in che modo il controllo venga esercitato sotto il velo della seduzione; perché una legge, per quanto ben studiata, non è mai in grado di rivoluzionare un comportamento, un abito. La verità del piacere, che il controllo cerca d'infondere, sta nella menzogna: nella relazione desiderante permane infatti un aspetto ludico estraneo alla regola d'igiene. Per "orientarlo" è necessario ricorrere a una modalità ben precisa, unica e al tempo stesso connaturale: la sé-duzione (continua 3.4)