1.7 Dal controllo al panoptismo
La grammatica del potere trova una delle sue più raffinate e articolate incarnazioni nel modello carceraio ideato da Jeremy Bentham, celandosi sempre più attraverso la spazializzazione
(se non letto prima, si rimanda al post "1.6 L'occhio indiscreto")
Riconoscere il controllo attraverso il gioco aiuta a comprendere in che modo enunciati di forma differente, sparsi nel tempo, possano formare un insieme coerente - quindi significativo - se rapportati a un fatto. Ad esempio, possiamo non sapere a che età risalga un reperto archeologico, chi l'abbia fabbricato, che cosa rappresenti, ma comprendere la sua funzione è indubbiamente l'indizio più utile per ricostruire la sua possibile vita di oggetto, arrivando infine a definirlo una "lucerna". Il problema sorge nel momento in cui riteniamo che la "lucerna" valesse come medesimo "oggetto-lucerna" anche in passato, retroflettendo e proiettando le nostre categorizzazioni mentali sul suo mondo "originario". La sua chiarificazione non va mai scambiata per la sua spiegazione.
Analogamente, se definiamo "gioco" un qualcosa di chiuso in se stesso e infinitamente ripetibile, dunque facilmente descrivibile nelle sue modalità di svolgimento, non altrimenti possiamo fare con quel "qualcosa" in riferimento al quale usiamo il nome di controllo. Il controllo non è un oggetto (del sapere), ma ciò attraverso cui il sapere istituisce gli oggetti di conoscenza. Un "oggetto di sapere" che, in qualche modo, travalica se stesso. Va oltre il suo darsi, la sua presenza.
L'unità del discorso sul controllo viene infatti garantita, più che dalla persistenza e dall'unicità di un oggetto definito, dallo "spazio" in cui si profilano e continuamente si trasformano i diversi oggetti (del sapere). Occorre perciò guardare al meccanismo delle regole che rendono possibile, per un dato periodo, la comparsa di oggetti: che poi siano corpi umani, macchine, pratiche amministrative o quant'altro, a questo punto è del tutto indifferente.
In definitiva, potremmo affermare che l'unità del discorso sul controllo è il prodotto di regole che definiscono le trasformazioni di quei diversi oggetti. L'unità è data solo e in virtù della loro non identità nel corso del tempo, dalla frattura che quest'ultimo produce rispetto al significato degli oggetti, dalla discontinuità interna che ne mina la persistenza e dunque l'essenza.
"Paradossalmente, definire un insieme di enunciati in base a quanto l'insieme ha di individuale, consisterebbe nel descrivere tutti gli interstizi che separano gli enunciati, nel misurare le distanze che regnano tra di loro, in altri termini formulare la loro legge di ripartizione"
(M. Foucault, L'archeologia del sapere, op. cit., p. 46).
Legge che implica poi la necessità di individuare la forma e il tipo di concatenazione degli enunciati, proprio per mantenere vivo il processo di significazione. Senza la costante produzione di insiemi coerenti e significativi, il linguaggio e la comunicazione finirebbero per essere inghiottiti dal silenzio del tempo.
Il controllo presuppone allora uno stesso modo di guardare le cose, una stessa squadratura del campo percettivo, una stessa analisi del fatto in base allo spazio visibile del corpo, uno stesso sistema di trascrizione di ciò che si vede in ciò che si dice; è il "sistema" che regola la ripartizione degli enunciati, ma per farlo necessita sempre di un supporto.
Il Panopticon di Jeremy Bentham, di cui Foucault ha saputo cogliere i profondi legami con la tradizione teoretica del pensiero occidentale, scaturisce proprio da queste esigenze, nel tentativo di spazializzare la logica degli enunciati e di offrire una struttura visibile al processo di costruzione della Verità sull'uomo. Ancor prima di essere una geniale invenzione consacrata alla sorveglianza fisica, il "Panopticon" è una creatura della logica discorsiva, del desiderio di ingabbiare la vita nelle strutture formali della comunicazione.
Non è un caso che il suo creatore fosse un personaggio ossessionato dalla necessità di "economizzare" ogni forma del reale, uno stravagante giurista inglese del Settecento, autore di un testo che Michel Foucault ha riconosciuto, senza mezzi termini, come "un avvenimento nella storia dello spirito umano". La temibile creatura dischiusasi nella mente di Jeremy Bentham si chiama appunto "Panopticon": non è un mostro mitologico dai mille occhi, né una curiosa specie estinta, ma assume piuttosto le sembianza di "un luogo privilegiato, per rendere possibile la sperimentazione sugli uomini e per analizzare con tutta certezza le trasformazioni che si possono operare su di loro". In breve, è "un apparecchio di controllo sui propri meccanismi", "il diagramma di un meccanismo di potere ricondotto alla sua forma ideale".
Il "Panopticon" ha avuto una preistoria e una storia, è sopravvissuto ai tempi grazie alle sue sagaci metamorfosi, abbandonando solo gli aspetti più eclatanti ricordati da Foucault in Sorvegliare e punire. Questo fu il suo primo volto: "alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna ad anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; esse hanno due finestre, una verso l'interno, corrispondente alla finestra della torre; l'altra, verso l'esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Basta allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, ed in ogni cella rinchiudere un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro. Per effetto del contro luce, si possono cogliere dalla torre, stagliandosi esattamente, le piccole silhouettes prigioniere nella celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il dispositivo panoptico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza interruzione e di riconoscere immediatamente" (M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976, p.218)
Nella breve sintesi del testo di Bentham presentata dal filosofo francese, attraverso la descrizione degli ingegnosi meccanismi di sorveglianza, già emergono i caratteri che il Panopticon avrebbe imposto nelle spire della società post-industriale: la necessità del continuum spazio-temporale, per garantire l'efficacia del controllo, che si traduce poi in uniformità animata da variabili d'intrattenimento. Un baluginio che lo stesso Bentham aveva fatto scintillare nella tetra luminosità del suo scritto, quando - a proposito dello spazio destinato all'ispettore ed ai suoi famigliari - scriveva:
"essendo privati in ogni altro momento di ogni altra vista, rivolgeranno naturalmente e inevitabilmente il loro sguardo nella direzione conforme a quello scopo, in ogni istante delle loro occupazioni quotidiane. Questo prenderà il posto di quella grande e costante fonte di distrazione per le persone oziose e sedentarie della città che è il guardare fuori dalla finestra. La vista per ristretta che sia, sarà svariata e perciò, potrà anche diventare divertente"
(J. Bentham, op. cit., p. 47).
Ecco affiorare, con inconscia leggerezza, l'idea dell'esibizione del potere, che si trasformerà in seguito nello "show off" del controllo. La tartaruga senegalese sorride alle nostre spalle.
La nitida descrizione di Foucault trascura almeno due altri dettagli importanti: le persiane che, schermando le finestre della torre centrale, impediscono ai prigionieri di sapere quando sono osservati e quando no ("le finestre della residenza sono munite di persiane alte fino a dove lo sguardo dei prigionieri può arrivare dalle celle, qualunque mezzo essi impieghino", ib., p. 38); e il rudimentale telefono che, attraverso una rete di tubi, permette all'ispettore di rivolgersi a coloro che sta ispezionando, rendendo così sensibile e incombente la sua presenza ("Per risparmiare all'ispettore lo sforzo di alzare la voce per essere ascoltato e per impedire ai prigionieri di sapere che è occupato con un altro prigioniero più lontano, si potrebbe installare un piccolo tubo di stagno in ogni cella fino alla residenza centrale, passando per l'area intermedia, e salendo fino alla finestra corrispondente della residenza", ib., p.39). Se avesse scritto un secolo più tardi, all'epoca dello Jugendstil e di Paul Scherbart, Bentham avrebbe forse suggerito un'architettura di acciaio e di vetro. Se scrivesse oggi, non avrebbe bisogno di immaginare un'apposita struttura architettonica: imbottirebbe le celle di telecamere, come hanno fatto i carcerieri americani, o come gli inventori della trasmissione televisiva Grande Fratello, e con questo avrebbe risolto nella maniera più semplice il suo problema. Forse.
"Dio ti vede"; attraverso il Panopticon, il valore deterrente di quest'avvertimento viene trasferito nel mondo umano, entro le maglie dell'organizzazione sociale. Al posto di Dio c'è l'ispettore, anch'egli invisibile dietro le persiane della torre centrale - e, proprio perché invisibile, oggetto di interiorizzazione da parte di chi è o potrebbe in ogni momento essere osservato. Con buona pace degli spiritualisti, che per bocca di Marquet-Vasselot, direttore della centrale di Loos ed autore del De maisons centrales de détention (1838), osservava ironicamente, ma anche ingenuamente: "poiché cos'altro [che non siano dei movimenti fisici] può scoprire questo dio fittizio, il cui occhio, non penetrando affatto nel fondo dei cuori, si aggira vagamente sulla superficie dell'uomo fisico?".
Guardando bene, il fine del Panopticon non consiste tanto nel punire la gente, bensì nel fare in modo che non possa agire male, sentendosi tuffata ed immersa in un campo di visibilità totale, in cui l'opinione degli altri, lo sguardo degli altri, il discorso degli altri, la tratterrebbero dal fare il male o dal compiere azioni nocive. Bentham, a riguardo, era stato chiarissimo, aprendo la sua opera con una radicale presa di posizione etica: "la morale riformata, la salute preservata, l'industria rinvigorita, le cariche pubbliche alleggerite, l'economia stabile come su di una roccia, il nodo gordiano delle leggi d'assistenza pubblica non tagliato, ma sciolto - tutto questo con una semplice idea architettonica" (J. Bentham, op. cit., p.35). Poco importa, allora, se il controllo sugli individui sia esercitato in modo più o meno continuo: il punto cruciale consiste nel far credere di essere osservati, in ottemperanza al principio del "visibile inverificabile" (M. Foucault, Sorvegliare e punire). Si finge di sapere. La Verità viene a fondarsi su un mero gioco di sguardi. "Un assoggettamento reale nasce meccanicamente da una relazione fittizia" (M. Foucault, SP, op. cit., p.220).
Essendo visto (o meglio, facendo in modo che il soggetto osservato creda di essere visto) senza poter vedere, il recluso del Panopticon diviene "oggetto di un'informazione, ma mai soggetto di una comunicazione" (ib, p.221). Siamo di fronte ad una relazione univoca e decisamente squilibrata, dove l'accumulo di significati gioca un ruolo preponderante rispetto alla definizione del senso: il meccanismo descritto da Foucault permette di trarre conclusioni su dati di mera osservazione, che riconducono tutto in superficie.
Il "Panopticon" induce cioè nel detenuto (ma, considerata la multiformità dei suoi adattamenti sociali, potrebbe trattarsi parimenti del folle, dell'operaio, dello studente, o comunque di un certo numero di persone che devono essere tenute sotto controllo in uno spazio non troppo vasto da coprire o dominare con altri edifici) uno stato di cosciente visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Una sorveglianza permanente nei suoi effetti, seppur discontinua nella sua azione. L'efficacia del potere, la sua forza costrittiva, passano in tal modo sulla superficie di applicazione: colui che è sottoposto a un campo di visibilità, e che lo sa, prende a proprio conto le costrizioni del potere, le fa giocare spontaneamente su se stesso, le inscrive su se stesso, divenendo il principio del proprio assoggettamento.
La rilevanza di quest'utopista carcerario, per noi che viviamo impigliati in una ragnatela fittissima di telecamere, monitor, punti d'ascolto, risiede molto di più nell'intuizione, attraverso il Panopticon, di nuove e raffinate forme di dominio. Penetrando nelle nostre società, le sue fantasie si sono profondamente alterate. Non c'è più una torre centrale né un numero limitato di celle da sorvegliare. E - anche se l'espressione è oggi sulla bocca di tutti - non esiste nemmeno il "Grande Fratello", così come l'aveva immaginato George Orwell in 1984 . Emanazione di un Partito così come lo si poteva concepire negli anni Trenta, il "Grande Fratello" di Orwell sorvegliava e condizionava tutti; ma oggi - proprio per l'abbondanza degli strumenti di cui disporrebbe - quel Sorvegliante unico sarebbe con ogni probabilità sopraffatto dall'enorme quantità di cose da guardare e da controllare. E tuttavia, attraverso molte metamorfosi, l'idea benthamiana del Panopticon serpeggia nella nostra società, incarnandosi in una rete leggera e oscillante di complicati e graduati meccanismi che ci mettono ogni giorno di fronte ai problemi del vedere e dell'esser visti, e ai rapporti di potere che ne discendono.
C'è, in Bentham, un dettaglio che non può essere passato sotto silenzio. La torre centrale, dove abita l'ispettore, è aperta anche ai visitatori, che possono essere parenti e amici dei prigionieri, ma anche semplici curiosi: "come vedete, do per scontato che essendo state prese le misure necessarie per prevenire ogni evasione e disordine, le porte di questo edificio debbano essere, come dovrebbero esserlo in tutti gli edifici pubblici salvo ragioni speciali, spalancate alla folla dei curiosi, al grande comitato pubblico del tribunale del mondo. E chi mai obietterà una tale pubblicità, dove essa è praticabile, se non quelli che hanno i motivi più forti perché le loro azioni non siano conosciute?" (J. Bentham, op. cit., p.51).
Insomma, i detenuti non hanno a che fare solo con un despota su cui concentrare il proprio odio, ma anche con gli sguardi di una folla di sconosciuti in transito, che rappresentano l'Opinione; e dunque il loro comportamento viene giudicato non da uno solo, ma da tanti e potenzialmente da tutti. D'altra parte, ancora Bentham aveva avvertito che "quando la facoltà sensitiva è inattiva, l'immaginazione lavora e finisce per produrre dei fantasmi. Le prime superstizioni dell'infanzia, gli spiriti, gli spettri rinascono nella solitudine" (Ib., p.120). La solitudine può addirittura condurre alla follia. Il Panopticon lotta per affermare la sensazione contro l'immaginazione, l'immediatezza del dato contro la sua rielaborazione razionale, che si spinge oltre il visibile per trovarne il fondamento, portandosi così appresso tutti i difetti e i limiti di una mera cultura empirista.
Bentham dà poi quasi per scontato che l'uomo, in quanto onesto, non debba nascondere nulla all'altro. Al contrario, abbiamo visto in precedenza come la dimensione del "segreto", dell'arcano, ancor prima di essere incensata come spazio di godimento della propria privacy, della libertà personale del soggetto, sia funzionale alla costituzione della differenza, dischiudendo la soglia di scansione delle polarità enunciabili. Il segreto è infatti una modalità costitutiva del sapere. Ma di questo si dirà meglio più avanti.
In anticipo sui tempi, appare pure rilevante la tendenza a "virtualizzare" i rapporti fisici, allorquando nel testo originario si parla delle visite di controllo: "Un altro vantaggio, che tende allo stesso fine, è che [il panopticon] scrolla di dosso l'onere della preoccupazione e del disgusto agli ispettori saltuari di un grado più elevato, cioè i giudici e gli altri magistrati, che scendono dalla loro elevata posizione sociale per compiere questo compito ingrato e che non possono non sentire ripugnanza nell'adempierlo. [...] Grazie a questo nuovo progetto ogni ripugnanza scompare e il fastidio di andare nella stanza della residenza è lo stesso di quello d'andare in qualsiasi altra abitazione" (Ib., p.49). La mitigazione delle pene nel corso della storia non è dunque solo frutto di una graduale presa di coscienza sugli autentici diritti umani, sollecitata da un rinnovato, quanto ormai obsoleto, appello ai concetti di "natura" e "giustizia".
Interdizioni e divieti vengono sostituiti da sistemi di controllo che, volgendosi alla "pubblicità" delle immagini, puntano a democratizzarne il consenso e a ridurne gli effetti di "feedback". "Censura e occultamento - riconosce Luisella Ferolli (Lo show-off del controllo, in Geografie del controllo, Millepiani, Milano 2001, p.121) - cedono il passo alla dimensione di un voyeurismo globale ed universalizzante".
Naturalizzando e denotando il piano ideologico mediante il presunto carattere veridico e oggettivo delle immagini, lo si presenta come sicuro ed inappellabile, grazie al circolo virtuoso che si produce tra stimolo percettivo e contenuto informativo. In questo senso il sistema mediatico non fornisce tanto un'informazione, quanto un vero e proprio sistema conoscitivo, una "bussola" che può servire a orientarsi nel mondo. "Il controllo mediatico - evidenzia ancora la Ferolli (ibidem, p. 122) - agisce direttamente sulle matrici ideative del singolo soggetto: chiude le scorrerie della percezione come in una sorta di "percorso obbligato" (direbbe Deleuze) e ne amplifica gli effetti proporzionalmente al potere di diffusione dei suoi messaggi".
Il Panopticon evidenzia possibilità strategiche diverse che consentono l'attivazione di temi incompatibili, oppure lo studio di uno stesso tema all'interno di insiemi differenti. Di qui l'individuazione di un ordine nella loro successiva comparsa, delle correlazioni nella loro simultaneità, delle posizioni che si possono collocare nello "spazio comune", un funzionamento reciproco delle trasformazioni collegate e gerarchizzate. Il Panopticon serve cioè a visualizzare e ricostruire le catene d'inferenza, descrivendo preventivamente i possibili sistemi di dispersione attraverso le modificazioni dello spazio e del tempo. Un'esigenza di calcolo ben nota al suo stesso creatore.
Nel 1789, Bentham pubblica An introduction to the Principles of Moral Legislation, in cui definisce l'utilità come la sottomissione, scientifica e calcolata, ai due grandi principi che governano tutta la condotta degli individui e della società: l'allontanamento della pena e la ricerca del piacere, in modo tale, tuttavia, che non si goda mai invano. All'alba di questo secolo, in cui si erge la sinistra premonizione di Malthus di un mondo affamato di pane, il seme non potrà morire. Nessuna sostanza, nessuna forza deve essere perduta. Si tratta di captare tutte le pulsioni umane per mutarle in energia, in forza produttiva, in parole-chiave di avviamento economico. Tutto deve essere economizzato.
"L'utilitarismo - ha scritto Michelle Perrot (L'ispettore Bentham, in Panopticon, op. cit., p.110) - è un'idraulica dei piaceri". (continua 1.8)